Sport paralimpico: l’Italia è un esempio per gli altri Stati
“Possiamo rendere lo sport paralimpico un case history italiano rispetto all’evoluzione del mondo della disabilità”.
Lo ha detto Luca Pancalli presidente del CIP, il Comitato Italiano Paralimpico alla Conferenza Nazionale sulla disabilità. L’evento, che si è svolto il 13 dicembre è stato promosso dal Ministro per le disabilità, Erika Stefani. Hanno partecipato tra gli altri il presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente di ANMIC, il prof. Nazaro Pagano.
Sport paralimpico: la storia del CIP
“All’inizio del 2000 – spiega Luca Pancalli – ero presidente Federazione Italiana Sport Disabili (FISD). Già nel nome c’era qualcosa che non andava. Non esiste uno sport per disabili fatto da disabili. Per questo oggi sono orgoglioso anche del cambiamento linguistico ottenuto con la frase sport paralimpico. Oggi noi atleti paralimpici vogliamo realizzare una visione e capire gli step che portano a quegli obiettivi. Ci abbiano messo 20 anni ma ce l’abbiamo fatta. Dall’inizio abbiamo individuato degli aspetti su cui lavorare. In primis l’agonismo, poi la cultura intesa come qualcosa su cui investire per costruire un sistema di welfare attivo. Nel sistema anglosassone si parla di “spinta” riferendosi a quelle politiche che spingono i Paesi ad adottare azioni comuni che poi portano ad un benessere psichico e fisico”.
Dallo sport di periferia alle medaglie paralimpiche
“Lo sport – prosegue Pancalli – non è quello dei campioni ma quello dei campetti di periferia. È quello che ti insegna a farti la borsa e la doccia da solo. Abbiamo iniziato a lavorare parlando di sport paralimpico con la necessità non di vincere medaglie ma di incidere sulla cultura di tutto il Paese. Tutto questo non poteva non intersecarsi col mondo dei media che andava educato ad un linguaggio nuovo e accompagnato in questa trasformazione. Io per primo non ho più usato il termine disabile, ho parlato sempre di atleti paralimpici. Il disabile scompare e compare l’atleta. Il paralimpismo si identifica con il diritto di fare sport per un disabile. L’atleta fa parlare di sport, i riflettori accesi sul campione servono per poter dire: “Se ce l’ha fatta lui o lei, posso farcela anche io. Noi in Italia ci siamo riusciti”.
Il CIP e le conquiste negli anni
Oggi il CIP, il Comitato Paralimpico italiano è presente nelle unità spinali. “Non è qualcosa di scontato – prosegue Luca Pancalli – ci abbiamo messo 20 anni per arrivare a questo punto”.
Il problema degli ausili per fare sport paralimpico
“Esiste ancora un grave problema nel nostro Paese – spiega Pancalli – gli ausili per fare sport. I bandi non servono per risolvere un problema, servono per scatenare una rivoluzione politica. L’erogazione di quegli ausili deve diventare un diritto per tutti”.
L’ingresso degli atleti parlalimpici nei corpi dello Stato e la certificazione di idoneità medico sportiva agonistica
“C’è qualcos’altro di cui andare fieri – conclude Luca Pancalli – l’ingresso degli atleti parlalimpici nei corpi dello Stato. Avere dei poliziotti arruolati è un risultato non solo per quei ragazzi ma lo è per il Paese come segno culturale. Così possiamo spingere i nostri ragazzi ad esprimere le loro doti e le loro capacità. Altro tema è quello della certificazione di idoneità medico sportiva agonistica che è ferma al 1993. La sfida è quindi quella della prescrivibilità dell’attività motoria. Passare dal periodo di riabilitazione a quello dello sport vero e proprio. Una continuità tra vecchio sistema di welfare e nuovo sistema. Lo sport è una parte delle politiche del Paese su cui dobbiamo investire”.